Rubrica "Cambiare i binari, senza fermare i treni" - Articolo 5

 

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Rubrica: Racconti di Digital Transformation

Articolo 5 - 28 Febbraio 2020

BlueDot, l’ai che va a caccia del “paziente zero”

A tremila chilometri di distanza da Wuhan, i cui abitanti avrebbero volentieri fatto a meno dell'odierna popolarità, un robot aveva previsto con diversi giorni di anticipo un possibile focolaio epidemico.

Siamo a Toronto, negli uffici Bluedot, una start-up nata nel 2014 con un'iniezione di private crowfunding pari a 9 milioni di dollari. Sette anni fa qui la Sars uccise 44 persone e mandò in tilt il pronto soccorso: Kamran Khan, infettivologo canadese, passata l'emergenza, cominciò a studiare un modo per poter gestire, in futuro, eventuali nuovi casi. 

Dalla sua idea nacque Bluedot, niente più di un algoritmo che studia e interpreta ogni giorno, in 65 lingue diverse, migliaia di dati e informazioni provenienti da voli aerei, database sanitari, casi di epidemie da strutture veterinarie, bollettini medici. Il suo cervello è una piattaforma di machine learning che si allena apprendendo il linguaggio naturale in ambito scientifico, opportunamente guidata da un team di esperti che di volta in volta analizza i casi proposti, minimizzando i falsi positivi.

I clienti sono, ad oggi, imprenditori privati e agenzie sanitarie: quando Bluedot scova un possibile focolaio, il team di epidemiologi effettua le opportune verifiche, e in caso di validazione viene inviato ai destinatari un report di allerta con tutte le indicazioni utili per prepararsi ad una eventuale epidemia. 

Da quanto si è appreso, i clienti di Bluedot, nel caso attuale del coronavirus, hanno ricevuto l'alert una settimana prima rispetto alle prime notizie che tutti noi abbiamo visto online e sui giornali. Sette giorni di preavviso, all'interno di un sistema implementato su scala mondiale e certificato dai Ministeri di Sanità Pubblica, potrebbero salvare tante vite.

Nel 2016 l'AI di Toronto aveva previsto esattamente in quali città della Florida sarebbe atterrato Zika, ma all'inizio del suo lavoro era invece incappata in clamorose cantonate, scambiando ad esempio una possibile epidemia di antrace con una reunion del gruppo metal Anthrax J.

Sbagliando si impara, quindi, è una locuzione che vale anche per le intelligenze artificiali, e non potrebbe essere altrimenti.


L'articolo completo e i relativi approfondimenti su Wired.